Secondo me Cristian ha centrato il punto, cioè che il problema non sta nello strumento ma nelle persone, penso che la questione si possa affrontare attraverso tre aspetti: cultura dell'informazione, ignoranza tecnologica, tempo.
Cultura dell'informazione: molte persone non hanno la cultura dell'informazione, cioè sono più propense a farsi raccontare i fatti già analizzati da altri, non hanno senso critico, non sanno interpretare le notizie; è chiaro che internet dà la stessa visibilità a tutti i contenuti, ma la diffusione e il peso percepito di questi ultimi dipendono in buona parte dalle interazioni degli utenti, questo può permettere che si diffonda più ampiamente un articolo falsato o scorretto rispetto a un'informazione da una fonte affidabile, ma ciò non dipenderà dal mezzo ma dagli attori della rete, le persone.
Ignoranza tecnologica: è risaputo che la maggior parte della popolazione (almeno quella italiana) non ha un'adeguata preparazione informatica; spesso la parte giovane della popolazione ha conoscenze limitate all'alfabetizzazione di base fornita dalla scuola, mentre tra i non nativi digitali, a parte coloro che sono impiegati nel settore ICT, la conoscenza è spesso limitata all'esperienza d'uso quotidiana delle tecnologie. Questa mancanza di competenze si traduce nell'incapacità di distinguere internet da un'enciclopedia, un motore di ricerca dall'indice di un libro, è un po' come prender la scienza per magia (giusto per ricollegarsi alla caccia alle streghe), si utilizza uno strumento senza la consapevolezza delle sue potenzialità/debolezze.
Tempo, mancanza di tempo: ammesso che ciascuno maturi una cultura dell'informazione e spirito critico... Il mondo va di fretta, così anche l'informazione (catalizzata dalla rete) viaggia e cambia in fretta, se non si ha abbastanza tempo per analizzare una notizia o una serie di eventi e di restare aggiornati su come si sviluppano si rischia in ugual modo di fare disinformazione o di comprendere i contenuti che si trovano solo a grandi linee.
@Riccardo: penso che le misure da prendere siano formative/culturali, non tecniche.
@Simone: la pubblicità secondo me è un aspetto secondario, cioè ha un impatto che può essere invasivo e si può limitare tecnicamente, però di per sè non genera disinformazione; il discorso si ricollega alla consapevolezza del mezzo: se sono un utente accorto riconosco che quello è un contenuto pubblicitario e quindi lo giudico diversamente rispetto al contenuto di un articolo di giornale, se invece mi interessa l'inserto pubblicitario in sè potrei verificarne la veridicità per escludere che si tratti di pubblicità ingannevole, ma questo è un altro discorso.